Chiesa

Dall'altare al palco

Vi voglio già bene”, l’ultima espressione in chiesa dopo qualche nota cantata di “Romagna mia” per mandare… in visibilio la solenne Cattedrale di S. Cassiano di Imola. Don Giovanni Mosciatti si è presentato così alla prima benedizione da Vescovo della città romagnola con mitra, pastorale ed un entusiasmo che ha contagiato tutti. Davvero tutti. Ed erano in tanti. Non solo i cinque pullman annunciati dalla Diocesi (con tanto di autorità civili, dai sindaci di Fabriano Santarelli, di Matelica Baldini, di Sassoferrato Greci, del vice sindaco di Genga Bruffa), ma almeno cinquanta auto ed una serie di pulmini provenienti da Marche ed Umbria. Almeno 700. Poi i fedeli di Imola, sinceramente increduli e stupiti, ma commossi per l’empatia e l’umanità del sacerdote di S. Facondino, la parrocchia di Sassoferrato. “Ma lui è sempre così?”. Non nascondo che tanti imolesi, soprattutto dopo la performance sul prato della Rocca Sforzesca per la festa post ordinazione, mi hanno rivolto questa domanda. E forse hanno trovato una conferma sulle magliette che i suoi amici del gruppo musicale “Turno di guardia” avevano fatto stampare per l’occasione “La nostra… Eccellenza”. Don Giovanni Mosciatti è proprio così, “un’eccellenza” semplice, attento a cogliere le sfumature della vita, la grandezza del gesto in Cattedrale con tutta la coscienza e la responsabilità richieste, ma anche il coraggio di mettere la faccia nell’ambito… ricreativo, trasformandosi in anchorman, in istrione del palco, ghermendo la tromba e spiazzando con i suoi assoli vocali e strumentali. Lui, guida di un popolo che lo stava divorando con gli occhi, mestierante della musica, incitava il pubblico a cantare, seguendo le note del pezzo, mentre su Imola cadevano le prime ombre della notte. E la gente a poco a poco ritornava, faticando non poco, alle proprie case, affamata di una Chiesa prossima all’uomo, capace di dialogare in piazza con i linguaggi della modernità sena fare sconti, senza scendere a compromessi, ma chinandosi, come ha fatto don Giovanni al momento dell’ordinazione, alle pieghe di un disegno più grande. E se ne era accorto anche quel grande pastore che è Mons. Zuppi, Arcivescovo di Bologna, nell’omelia in Cattedrale: “La gioia di oggi è tutta grazia, tanto più grande del nostro peccato e della mediocrità della nostra vita. Come tutti i doni diventano nostri se li doniamo, se vinciamo l’istintivo senso di possesso che ci fa credere che c’è più gioia nel ricevere che nel dare. La tua gioia, Giovanni, è anche la nostra, dei tuoi e di tutti quei tuoi, tanti e cari, che Dio ti ha fatto incontrare in questi anni, carovana affidabile del tuo cammino”. Da buon padre che si rivolge ad un figlio destinato ad un altro luogo, non lesina consigli e carezze: “Il buon umore non ti manca e ti tiene lontano dal sussiego altero che non avvicina e sconsiglia di avvicinarsi. Sei un padre e non un paternalista che ripete consigli lontani e istruzioni per l’uso ma non li vive con loro…”. L’ascolto è intenso, le parole pesanti per la portata, dolci per il rimando ad un’esperienza di amore e di abbraccio. Poi S. Agostino… “Niente dimostra tanto bene l’amicizia quanto il portare il peso dell’amico, perché quando si ama, non si fatica, o se si fatica, questa stessa fatica è amata”. Dopo le parole dell’arcivescovo concelebrante (al suo fianco anche l’emerito di Imola Tommaso Ghirelli e l’amministratore apostolico di Fabriano-Matelica Stefano Russo) l’attesa ordinazione con l’unzione crismale, la consegna del libro dei Vangeli, quella dell’anello, la mitra, il pastorale e quindi l’insediamento. A questo punto don Giovanni è sull’altare: è Vescovo. I confratelli, sono ben 18, si avvicinano a lui e lo abbracciano: commovente la stretta con l’emerito di Fabriano-Matelica Giancarlo Vecerrica, un padre, un costante pungolo, un’esperienza condivisa e vissuta all’unisono, poi la commozione più forte con l’infinito abbraccio con la madre Marisa. Applausi scroscianti, non sembra nemmeno di stare in una chiesa, ma sono battiti composti, perché partono dal cuore e non da un mero impulso istintivo. Quegli stessi applausi che poi lui va a ricevere su un altro altare, quello profano della Rocca, tra giovani in delirio e quei jingle un po’ rock ma anche un po’ melodiosi che da questo 13 luglio hanno reso la nostra Diocesi più vicina a quella di Imola.